C’è qualcosa che non va

All’inizio non lo vedevo. Ogni giorno, era come una presenza non ben definita, un prurito che non riuscivo a grattare.

Lo associavo al solito paradosso dei creativi per cui in qualche modo non siamo mai soddisfatti del nostro lavoro. Era colpa dell’idea? Del cliente? Del team…? Non riuscivo mai a capirlo veramente ma c’era qualcosa che non andava, così ho continuato a voler fare chiarezza.

Come tutte le menti curiose, la mia ha trovato conforto nei lavori di chi esercita un potere più grande del mio e su quelle spalle oggi mi alzo con orgoglio. Sarò per sempre riconoscente per i fuochi d’artificio di Seth Godin e Gary Vaynerchuk e ugualmente affascinato dalle teorie di Henry Mintzberg sulla strategia emergente.

Eppure, una mente curiosa riesce ad aprire una porta solo per scoprirne un’altra leggermente socchiusa, e così il ciclo continua.

Tutta questa accademica ricerca interiore sarebbe stata inutile e egoistica se non fosse servita a cambiare le cose. Tuttavia, nonostante l’evidente crescita professionale e il costante flusso di successi, non ho visto alcun vero progresso finché non ho capito di essere anche io parte del problema.

Non sarà sfuggito a nessuno di voi che ogni vostro singolo cliente, a un certo punto, è arrivato a un punto di rottura. Solo negli ultimi 4 anni, il mondo dell’automotive ha visto l’arrivo delle macchine elettriche e del car sharing. E che dire del settore dei beni di largo consumo che è cresciuto così tanto online che oggi sta vendendo in perdita pur di riuscire a tenere testa al “ridicolosamente spaventoso” Amazon.

Non è sufficiente? Allora parliamo di marmo. Se siete come me e vivete in Italia, istintivamente assocerete il marmo con Carrara, ma come in tutte le cose nella vita, dietro c’è molto di più. Con le produzioni cinesi, americane e turche letteralmente alle stelle, l’Italia oggi possiede solo il 4,3% del mercato mondiale della produzione di marmo autentico e fa fatica a mantenerlo. Aggiungete anche l’arrivo (inaspettato, ma prevedibile) del più economico marmo artificiale, e capite come persino l’antico mercato delle rocce è stato scosso nel profondo.

E lì finalmente ho capito.

Siamo così impegnati ad adattarci alle nuove realtà dei nostri clienti che abbiamo dimenticato che anche il nostro mondo potrebbe essere soggetto a una rottura. L’agitazione che era cresciuta dentro di me non è nient’altro che realizzazione che ci troviamo in un mondo che cambia velocemente mentre il nostro settore è rimasto fermo.

Pensateci per un secondo. A parte l’output (dalla TV al Digital), cos’è cambiato esattamente nel mondo della comunicazione? Non vi verrà in mente nulla in particolare.

Alcuni di voi potrebbero obiettare che aziende che una volta erano grosse società contabili oggi stanno assumendo creativi. Certo, questo potrebbe scombussolarci un po’ ma quelli sono i Golia del marketing e, in fin dei conti, sentirci troppo piccoli per pensare di sederci a quei tavoli ci conforta.

Non importa quanto le agenzie e i loro professionisti di talento possano essere innovativi, il nostro modello non è cambiato di una virgola negli ultimi vent’anni e questo è un atteggiamento dolorosamente rischioso da adottare.

Nel suo video manifesto, Nadya Zhexembayeva – Chief Reinvention Officer – afferma che mezzo secolo fa l’aspettativa di vita di un’azienda citata nella lista Fortune 500 era di circa 75 anni. In altri termini, aveva 37 anni di crescita e 37 anni di declino. Potevi laurearti, lavorare per tutta la vita in un posto e andare in pensione senza vedere alcun cambiamento significativo all’interno della compagnia che ti aveva assunto.

Dal 1990, lo stesso ciclo di vita si è ridotto a soli 15 anni. Oggi, molti indicatori suggeriscono che sia sceso a 7.

Il problema allora è che viviamo in una camera di risonanza fatta di competenze SEO, rendimenti in calo e budget sempre più risicati, ma non stiamo cambiando il gioco, siamo semplicemente spettatori passivi.

E come risultato, ci stiamo complicando la vita da soli.

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